- Nella botte piccola c’è il vino buono!
Alain Giresse
Come attestano Littbarski, Thon, Lacombe ed altri già raccontati su queste pagine in passato, la Storia del Calcio evidenzia che molti “piccoletti” sono stati in grado di assurgere a protagonisti principali della scena.
Senza necessariamente scomodare Maradona, che peraltro ha praticato proprio un altro sport, sarebbero e sono tanti gli esempi in tal senso.
Oggigiorno Messi, per fare un nome che invero si avvicina più a quello del suo connazionale argentino, piuttosto che agli altri citati in precedenza.
Tralasciando per un attimo i fenomeni e tornando agli umani, un altro elemento mignon che merita una sottolineatura è senza dubbio Alain Giresse, uno dei migliori elementi di una Francia che negli anni 80 ottenne risultati assolutamente di rilievo e vide i suoi ragazzi soprannominati, a ragione, “Brasiliani d’Europa”.
Per tecnica, talento, estro.
Alain Giresse nasce in un piccolo agglomerato urbano nel dipartimento della Gironda, a pochi chilometri da Bordeaux, in Aquitania, Francia sud-occidentale.
Quando si cita Bordeaux il primo pensiero vola ai vini.
E in zona, in effetti, ce ne sono di clamorosi.
La città è molto bella, il circondario idem con scenari naturali degni di nota dove il turista non avrà nulla da recriminare se dovesse decidersi a fare una capatina da queste parti, poco ma sicuro.
Per chi invece vive a Bordeaux, vi è un bonus ulteriore: la squadra di club, “Des Girondin”.
Ed Alain ne scriverà di pagine e pagine di Storia inerenti a questo club, hai voglia.
Le più gloriose, per essere esatti.
Classe 1952, Alain Giresse è figlio d’arte: il padre Jacques è stato un buon calciatore ed appena può porta il pargolo ad alcuni provini sui polverosi campetti del posto.
Qui il suddetto viene notato in tenera età da osservatori della società francese ed inserito subito nei quadri del settore giovanile della città del Porto della Luna.
Basso e tozzo, Alain viene inizialmente tenuto in considerazione come attaccante esterno, la classica ala dal dribbling fulminante e dalle accelerazioni improvvise.
Man mano, però, il ragazzo mostra doti di centrocampista completo, importante, futuribile.
La madre Théodora è contenta di saperlo in attività fisica, lo coccola e lo accompagna alla fermata del bus che conduce al campo di allenamento: ma gli fa intendere che senza diploma in tasca, la parabola di calciatore potrebbe concludersi ben prima del previsto.
Il padre, per non fargli smarrire l’attitudine al sacrificio ed all’equilibrio, lo porta sovente nel laboratorio di falegnameria che gestisce, poco distante da casa.
Semplice, affettuosa e rigida educazione di un tempo: i risultati non tarderanno a venire.
Sotto l’aspetto puramente calcistico, in soli 162cm di altezza Alain Giresse nasconde qualità insospettabili, mostrando polmoni d’acciaio ed esibendo una tecnica raffinatissima.
Inoltre non si tira indietro se l’atmosfera diventa incandescente e, quando è il momento, tira fuori doti di leader che ne fanno il fulcro delle compagini giovanili dove milita.
Il Calcio vero è tutt’altra cosa, ovviamente.
Passa dapprima nella squadra juniores, poi dopo alcune ottime partite in quella dei dilettanti ed un’amichevole a Limoges dove se la comanda pure tra i grandi, ecco che il dado è definitivamente tratto.
Il giovane è teso ed emozionato, ma ha carattere: si sente pronto alla sfida ed alla soglia della maggiore età arriva l’esordio in prima squadra.
Settecento franchi al mese, lo stipendio iniziale.
Il padre non crede ai propri occhi, il figlio nei primi mesi non passa neppure in sede a ritirare il denaro, tanto è forte lo stupore che lo accompagna per settimane.
Il Bordeaux vive un periodo abbastanza transitorio: dopo aver sfiorato la vittoria in campionato pochi anni or sono, ad inizio decennio si ritrova a lottare per le posizioni di rincalzo, comunque a ridosso delle prime, ma non a distanza ravvicinata.
Negli anni a venire le cose peggioreranno, scivolando a centro classifica e rischiando addirittura la retrocessione in un paio di occasioni, senza alcun picco verso l’alto che potesse autorizzare sogni di cessata mediocrità.
Fin quando Claude Bez, tesoriere del club, dopo un’annata disastrosa accetta di subentrare come presidente in luogo dell’ormai sfiduciato dall’ambiente Jean Roureau, del quale era stato il fidato braccio destro negli ultimi anni.
Bez è un personaggio assurdo: pare appena uscito da un telefilm dell’epoca.
Per niente uno sprovveduto, altroché: si tratta di un manager furbo e navigato, eticamente oltremodo discutibile, dai modi spicci e dalla mente arguta, passionale ma non ottuso.
Sa bene che le casse della società non sono adeguate a competere con la concorrenza, quindi decide di puntare su un progetto a lunga scadenza che si rivelerà vincente: valorizza i migliori giovani del vivaio, cerca calciatori a fine contratto che non richiedano la luna come ingaggio e che non prevedano esborsi esagerati in fase di trattativa d’acquisto, mette nel mirino gente che abbia forti motivazioni di rivalsa e di successo.
Come allenatore sceglie Raymond Goethals, santone belga di chiara fama e indubbie doti, che si ambienta male in riva alla Garonna e salta dopo poche gare nelle quali fa in tempo ad innamorarsi di Gigi, come i fans del Bordeaux chiamano Giresse.
Bez non si perde d’animo e individua in Aimé Jacquet, reduce dall’esperienza sulla panchina del Lione, l’uomo giusto per dare la scalata alla vetta del torneo transalpino.
La scelta sarà quanto mai azzeccata.
Il Bordeaux vince tre campionati (84, 85, 87), due Coppe di Francia (86, 87) ed una Supercoppa (87), oltre a svariati piazzamenti e discrete apparizioni anche nei tornei continentali, dove giunse sino alle semifinali sia in Coppa dei Campioni (85), eliminato dalla Juve di Platini, e sia in Coppa delle Coppe (87), battuto ai rigori dai tedeschi del Lipsia.
Una epopea di assoluto rilievo, con in campo un protagonista assoluto: Alain Giresse.
“Le moteur”, il motore.
Così viene soprannominato il piccolo Alain, instancabile furetto che brilla di luce propria al centro di un valente progetto e di una squadra comunque di buona fattura, con Lacombe, Battiston, Tusseau, Tigana ed altri a creare un team di ragguardevole forza e classe.
Giresse presenzierà a tutti i trionfi, come detto, fino al 1986, quando con un burrascoso divorzio passerà ai rivali del Marsiglia.
Nel frattempo segnerà a rotta di collo, come una punta che si rispetti, saltando pochissime gare nei sedici anni di militanza con i girondini ed offrendo una continuità di rendimento a dir poco impressionante.
In Nazionale entra meno rumorosamente e senza poter indossare quel magico numero 10 che gli appartiene di diritto nel club e che tra i Blues è ad esclusivo appannaggio di monsieur Platini.
Col quale va d’accordo come pochi altri, per fortuna sua e della Francia: d’altronde parlano il medesimo linguaggio tecnico, classe a iosa.
Insieme a Fernandez e Tigana (saltuariamente Genghini) i quattro compongono il cosiddetto “Quadrato Magico”, un qualitativo reparto di centrocampo-trequarti che in quegli anni mette a ferro e fuoco le difese di mezzo mondo.
Giresse gioca una cinquantina di gare in Nazionale esordendo a metà degli anni 70, vincendo l’Europeo in casa del 1984 ed giungendo in due occasioni ad un passo dalla finale mondiale, sia nel 1982 che nel 1986, in entrambi i casi venendo estromesso dalla gara per il titolo per mano della Germania Ovest.
In queste manifestazioni internazionali Alain Giresse ruba l’occhio del pubblico e degli addetti ai lavori per la capacità di mettersi umilmente al servizio della squadra e di Platini, facendogli da fedele scudiero nonostante il “Piccolo”, altro soprannome datogli per ovvie ragioni, fosse abituato ad agire da incontrastato re nella propria compagine di appartenenza.
Un destro potente e preciso, con traiettorie radenti ed angolatissime che non consentono ai portieri di arrivarci nemmeno con le manone distese e protese nel disperato tentativo di salvare la pellaccia.
Una sublime abilità balistica nel dosare pallonetti e scavetti che mettono alla berlina i guardiapali avversari.
Un dribbling secco, imprevedibile, rapidissimo.
Una visione di gioco lucida e sublime, testa sempre alta, passaggi precisissimi.
Scattante e resistente, Giresse gioca e dispone con la testa, prima ancora che con i piedi.
Tatticamente è molto intelligente, indovina la stragrande maggioranza delle giocate, sa gestire bene le proprie energie e sa dettare i tempi ai compagni.
Una sorta di regista avanzato che, alla bisogna, ripiega fino alla linea di metà campo per dare una mano a chi di solito gli copre le spalle.
Nell’area avversaria o nei dintorni è devastante, in quanto col cambio di passo e la velocità in corsa crea improvvisi imbarazzi ai difensori che, a quel punto, rischiano moltissimo se intervengono in tackle su di lui.
Nel 1982 Alain Giresse arriva secondo, alle spalle del nostro Paolo Rossi, nella classifica del Pallone d’Oro.
Un riconoscimento alla classe ed alla efficacia di un grande giocatore.
Nel 1985, ormai ben oltre la trentina, Alain è ancora un elemento di valore e rendimento.
Il Bordeaux vorrebbe allungargli il contratto e lui, non prestando ascolto a munifiche sirene provenienti da tornei esotici, è ben disposto ad accettare.
In fondo pochi anni prima aveva ricevuto alcune chiamate dall’Italia, in quel momento il miglior torneo d’Europa, ed aveva avuto la forza di respingerle, essendo legatissimo alla sua terra, oltre che alla squadra ed al presidente.
Come aveva respinto la corte serrata dell’allora ricco e glorioso Amburgo, che agli inizi degli anni 80 voleva portarlo in Bundesliga.
Ma l’imprevisto e l’imprevedibile son sempre dietro l’angolo.
Accade che a in quel di Marsiglia si stia insediando una nuova società presieduta da Bernard Tapie, il Berlusconi di Francia, ambiziosissimo, ricchissimo e chiacchieratissimo manager che presto condurrà l’OM a conquistare trionfi su trionfi in patria e finanche la Coppa dei Campioni, pochi anni dopo.
Tapie e Bez si daranno feroce battaglia per un bel po’ di tempo, una rivalità non solamente calcistica che durerà sino alla morte di quest’ultimo, allorquando l’altro gli concederà il meritato onore delle armi.
Alain è da poco tornato da Lourdes in bici dopo una sorta di voto fatto col compagno Lacombe per aver sconfitto proprio l’OM in finale di Coppa di Francia, grazie ad una strepitosa rete -con un delizioso lob a scavalcare il portiere avversario- del numero dieci a pochi istanti dal termine del secondo tempo supplementare.
Il clima è quindi apparentemente sereno, ma le nubi iniziano ad addensarsi non appena al funambolo bordolese, reduce da qualche infortunio di troppo nella stagione appena terminata, viene comunicata l’intenzione del tecnico di utilizzarlo soprattutto come alternativa di lusso ai titolari, togliendogli la fascia di capitano e facendo arrivare dal mercato diversi giocatori dalle caratteristiche offensive e quindi palesemente in concorrenza col simbolo -fino ad allora- della squadra.
Bez prova a mediare, da par suo, con decisione e carisma.
Intanto Tapie ingaggia come Direttore Tecnico il connazionale Hidalgo, ex allenatore della Nazionale e mentore di Alain.
Un paio di avances esposte sotto forma di amichevoli telefonate e Giresse decide di passare ai rivali, sedotto oltretutto da un’offerta economica irrinunciabile.
Bez si infuria, considera il suo numero 10 come un figlio e prende il suo comportamento come un inconcepibile tradimento, un affronto imperdonabile.
Difatti non lo perdonerà mai.
Tutt’altro.
Arriverà a vendicarsi in modo furente ed eclatante: dapprima organizzando un autentico festival dello sfascio, durante il successivo incontro tra Bordeaux ed Olympique di Marsiglia, facendo passare a Giresse le pene dell’inferno, sia in campo che sugli spalti.
Un clima torrido ed inconsueto che disintegra fisicamente e psicologicamente il giocatore e che apre la strada al trionfo dei padroni di casa, nonostante fossero in inferiorità numerica a causa dei provvedimenti arbitrali successivi alle entrate criminali sul “Motore” da parte dei suoi ex compagni, in particolar modo il difensore tedesco Rohr, killer designato dal mandante di cui sopra.
Nella stagione successiva, memore del trattamento ricevuto, l’ex capitano darà forfait nel match disputato in terra natia.
Invece al ritorno, per festeggiare l’ormai certa vittoria in campionato contro gli odiati rivali e contro il ripudiato figliol prodigo, il baffone matto di Claude Bez si inventerà un ingresso trionfale nello stadio marsigliese con tanto di Cadillac dotata di targa irridente nei confronti degli avversari ed accompagnamento di irriverente sorriso, mai come allora sornione e beffardo, verso l’altrettanto eccentrico Tapie.
Una sagra, insomma.
L’OM si rifarà più avanti, dando il via ad un ciclo di importanti vittorie, come detto.
Alain Giresse non ci sarà, le due stagioni in maglia biancazzurra saranno abbastanza interlocutorie: aiuterà il team a crescere, con la sua esperienza, giostrando da centrocampista puro ma senza i numeri del passato, dal punto di vista realizzativo.
L’età ormai c’è, il ritiro è alle porte.
A 36 anni compiuti Giresse pone fine alla sua carriera annunciando il ritiro e facendo calare il sipario su un’intera era calcistica, quella del Bordeaux di Bez, Jacquet ed, appunto, Giresse.
Quasi seicento gare in prima divisione ed oltre 150 gol: tra i giocatori di movimento è il recordman di presenze della Ligue 1.
Suo figlio Thibault proverà a ricalcarne le orme ondeggiando tra prima e seconda serie francese con discreti risultati, senza il talento del padre ma con la grinta di famiglia insita nel DNA.
Dimenticavo: centrocampista, chiaramente.
La moglie Chantal, insegnante, sposata nel 1974, gli ha dato anche un altro figlio, il primogenito Mathieu.
Calcio e famiglia, questa la vita di Alain Giresse per lungo tempo.
Non è quindi una sorpresa il fatto che il nostro, dopo qualche anno di relax, si rituffi sul terreno di gioco, come allenatore.
Guida Tolosa e Paris Saint-German, in patria.
Poi vola a Rabat, per allenare il Far, club locale.
Viene successivamente scelto per essere il responsabile tecnico della Nazionale della Georgia, quindi ritorna in Africa per una quindicina d’anni per sedersi sulle panchine delle Nazionali del Gabon, del Mali, del Senegal e della Tunisia.
Risultati nella norma.
Nulla di eccelso, trascendentale, eccezionale.
Il calciatore, possiamo affermarlo senza timore di smentita e senza alcuna remora, era di un’altra categoria, rispetto al Mister.
E rispetto a parecchi colleghi in campo.
Una sorta di mix tra i più recenti Modric ed Iniesta.
Lo so, paragone impegnativo.
Parecchio.
Avrei potuto dire Eligio Nicolini e me ne sarei uscito con garbo.
Nicolini che gli somigliava n’anticchia e che non era affatto male, oh.
Chiusa parentesi.
Alain Giresse è stato senza dubbio uno dei migliori calciatori francesi della sua generazione e di parecchie altre, precedenti e successive.
Non a caso ha vinto per ben tre volte (82, 83, 87) il premio di miglior giocatore della Ligue 1.
La sua capacità di giostrare da centrocampista totale e contemporaneamente di supportare le punte e andare in rete con innegabile continuità è una caratteristica rara, che lo mette in cima alle classifiche dei Top di reparto.
Un Campione, tocca ribadirlo, che rafforzava il settore mediano del campo e garantiva fantasia e talento in quello avanzato.
Prendi uno e paghi due, ecco.
E pensare che sin da giovane, guardandolo, l’impressione era che ce ne volessero almeno due come lui per fare un solo giocatore.
L’apparenza inganna.
Il talento, quello vero e se supportato da una mente funzionale alla causa, no.
Non inganna mai.
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