- Il Totò alabardato
Franco De Falco
Che tempi!
Gli anni 80, intendo.
E che bel Calcio, con quegli stadi sempre pieni e quelle maglie stupende, dai colori sgargianti e con i simboli bene in vista.
Per non parlare dei protagonisti, poi: professionisti, certo.
Mercenari, non di rado: ma con un cuore potente e pulsante.
Tanto pulsante da riuscire, spesso, a coinvolgere una intera città e trascinare il suo popolo.
Come nel caso di Franco (Francesco) De Falco, detto Totò.
Pensi a lui ed è come se, d’improvviso, ti ritrovassi a Trieste.
Perché Totò De Falco è la Triestina e la Triestina è Totò De Falco (tipo “La Longobarda è Aristoteles e Aristoteles è la Longobarda“, cit. inversa del capolavoro per eccellenza della cinematografia mondiale: L’ Allenatore nel pallone).
Pomigliano d’Arco, aprile del 1959.
Dalla Campania inizia la storia di questo funambolo del calcio, che già in tenerissima età mostra il suo talento sui polverosi campi della provincia napoletana.
Uno scugnizzo astuto e determinato che cresce nelle giovanili del Pomigliano e della Nocerina e che viene, sin da subito, adocchiato da compagini di categoria superiore.
Appena quindicenne partecipa ad un provino con la Juve ed il Milan lo sottopone alle visite mediche: però in entrambi i casi gli interessamenti non vanno a buon fine.
Poco male: il ragazzo fa parte in pianta stabile della Rappresentativa Campana e le richieste per il suo cartellino non mancano di certo.
Lui è titubante all’idea di doversi allontanare da casa, i suoi genitori lo sono ancor di più: a convincere la famiglia a lasciar partire il ragazzo è il Cesena di Bersellini.
Serie A, quindi.
Non la Juve o il Milan, certo: ma si tratta di un salto comunque notevole per un adolescente alle prime esperienze nel professionismo.
Franco De Falco, pur venendo aggregato alle giovanili dei romagnoli, è tenuto sott’occhio dai tecnici della prima squadra, che ne intuiscono le doti di goleador.
Totò gioca infatti da attaccante e segna, anche con notevole frequenza.
Il Cesena in quegli anni costruisce una squadra esperta e coesa, scalando posizioni importanti nel campionato italiano fino ad issarsi al sesto posto, nella stagione 1975-76, culminata con una straordinaria qualificazione in Coppa Uefa.
Gli arrivi degli ex Laziali Frustalupi ed Oddi apportano quel quid di grinta e mestiere che permette alla formazione allenata da Marchioro, sostituto di Bersellini, di raggiungere un risultato veramente di gran pregio.
Al termine della stagione Marchioro passa al Milan ed il presidente Manuzzi non riesce a ripetere il recente miracolo tecnico-sportivo-dirigenziale, col Cesena che cambia allenatori come se fossero calzini e retrocede, a fine anno, mestamente in serie B.
Franco De Falco esordisce in serie A nell’ultima gara del torneo, contro il Milan di Rivera, che segna una doppietta e consente ai rossoneri di espugnare lo stadio La Fiorita.
Il giocatore viene confermato in cadetteria, dove milita -con esiti altalenanti- per due annate con la maglia bianconera, nel tentativo di riconquistare il gotha del calcio tricolore.
Il ritorno di Marchioro e il successivo ingaggio di Cadè non sortiscono gli effetti sperati ed il Cesena resta impantanato per un biennio nel secondo livello del principale sport italiano.
Osvaldo Bagnoli è il terzo allenatore a provare il salto di categoria: al primo anno non vi riesce, per pochissimo.
Dodici mesi più tardi sì, ma ormai De Falco è già altrove.
Dopo l’arrivo di Bagnoli in panchina e l’acquisto di alcuni giocatori che gli avrebbero tolto spazio, l’attaccante viene ceduto in prestito al Forlì, in terza serie.
Stagione positiva, con la promozione in B sfiorata dal team ed il ritorno in A invece ottenuto personalmente grazie alla proposta del neopromosso Como di -guarda un po’- Pippo Marchioro.
Due presenze, una da titolare contro la Roma e l’altro da subentrante con l’Udinese.
Con l’esordio di un triennio prima fanno tre, in totale.
Il numero perfetto ma anche quello definitivo, perché a soli ventuno anni Totò chiude la sua breve parentesi con la serie A.
Non può neanche lontanamente immaginarlo, in quel momento.
Il Como riprende il più scafato Cavagnetto, dal Genoa, e spedisce De Falco in prestito al Catania, da qualche mese risalito in serie B.
Totò in Sicilia gioca spesso, mettendo a referto due reti.
Poche, per un attaccante: che però, nel suo caso, si dedica molto alle esigenze della squadra, mettendosi completamente al servizio dei suoi compagni.
In estate il Catania prende Cantarutti dal Pisa e Crialesi dal Brescia.
Due ottime punte, per la categoria.
Franco De Falco torna in terza serie, acquistato dalla Triestina.
È l’inizio di una straordinaria storia d’amore.
I Giuliani lo prelevano in comproprietà, col cartellino che per il restante 50% resta di proprietà del Cesena, quest’ultima ancora detentrice di una compartecipazione attiva sui diritti del calciatore campano.
Totò fa le valigie in continuazione, ormai.
A Trieste arriva col desiderio di imporsi e di riuscire, finalmente, ad acquisire continuità.
Ha bisogno di sentire fiducia su di sé e, nel contempo, di essere egli stesso più incisivo in campo.
La squadra, allenata dal bravo Buffoni, è imperniata su un gruppo di qualità: Strukelj, Magnocavallo, Mitri, Dominissini, Leonarduzzi, Mascheroni, Costantini.
E poi Doto, geniale mezzala dal tocco di palla sopraffino, ed Ascagni, estroso trequartista con l’assist insito nel proprio DNA, i quali insieme a Franco De Falco vanno a comporre un tridente offensivo spettacolare ed imprevedibile.
Totò si ambienta alla grande e segna dodici volte, iniziando a mostrare doti da bomber.
Prima punta, abbastanza atipica ma tremendamente efficace.
La Triestina chiude al sesto posto e acquista in toto il suo puntero, iniziando un percorso di crescita che un anno più tardi porta alla conquista della serie B, con la vittoria del campionato di C1.
De Falco buca la rete in ben venticinque occasioni (capocannoniere), attirando gli sguardi di parecchie compagini di B e di alcune in A.
Lui ne è onorato, ma si trova benissimo a Trieste.
La società è solida ed in vista della cadetteria rafforza adeguatamente il roster a disposizione di Buffoni con ottimi elementi quali Romano, Braghin, Vailati, Stimpfl e altri ancora.
Ascagni, dopo alcuni contrasti con la dirigenza, viene ceduto al Parma.
Al suo posto viene ingaggiato De Giorgis, dai cugini dell’Udinese.
Il nuovo arrivo crea subito un buon feeling con De Falco (14 gol) e la Triestina disputa una buona stagione, culminata in una tranquilla salvezza anticipata.
In estate a Buffoni subentra Giacomini, col chiaro intento di scalare ulteriori posizioni di classifica.
La Triestina è ambiziosa e vuole la serie A.
Nessun proclama, quantomeno ufficialmente.
Però le idee sono chiare e temerarie.
La rosa è rafforzata, in particolar modo con il prolifico D’Ottavio (Campobasso), sottratto all’ultimo istante alla concorrenza del Cesena.
Purtroppo quest’ultimo incappa in una annata negativa, soprattutto dal punto di vista realizzativo (soltanto due reti).
Franco De Falco si conferma invece bomber implacabile (16 centri) e gli alabardati si issano sino alla quinta posizione in graduatoria, dando l’impressione di poter realmente ambire al salto di categoria.
Pochi rinforzi, magari mirati, e il gioco potrebbe essere fatto.
Totò riceve offerte importanti: lo cercano Torino ed Atalanta, in primis.
Udinese, Avellino e Verona seguono a ruota.
Infine è il Brescia a piombare sul giocatore, con la Lazio che rilancia sul gong di chiusura del calciomercato e mette sul piatto un bel gruzzoletto.
L’Unione -Unione Sportiva Triestina- non ha alcuna intenzione di privarsene e respinge ogni avance a riguardo.
Tra Trieste e Totò De Falco è amore vero, profondo, sanguigno.
I tifosi dei Muli lo adorano e lui, capitano e condottiero, ricambia ogni singola goccia d’affetto con l’impegno in campo e la convinzione, autentica, che quella maglia rossoalabardata sia una seconda pelle.
In vista della nuova stagione D’Ottavio passa al Taranto.
In sua vece nell’alto Adriatico giunge il forte Cinello, pagato a peso d’oro all’Empoli.
Giacomini firma col Perugia ed in panca siede il preparato Enzo Ferrari, un importante trascorso nell’Udinese di Zico e reduce da una buona annata passata in Spagna, nel Real Saragozza.
Il presidente De Riù saccheggia il Varese appena retrocesso in C, ingaggiando dai lombardi Salvadè, Scaglia, Orlando e Strappa.
Prende inoltre il portiere Gandini, dal Parma, il difensore Menichini, dall’Ascoli, ed il jolly di centrocampo Iachini, dalla Fiorentina.
Rosa completa e pronta a stupire.
Gli attaccanti non ingranano, invero.
Franco De Falco (5) e Cinello (6) non brillano ma, nonostante i numeri modesti delle sue bocche di fuoco, il gioco della squadra è efficace e redditizio.
La Triestina sul campo è quarta a pari merito con l’Empoli e, datasi la revoca della promozione del Vicenza a causa del coinvolgimento dei veneti nello scandalo del Totonero-bis, dovrebbe spareggiare con i toscani per la promozione in serie A.
Un punto di penalizzazione inflitto pure ai giuliani per la medesima inchiesta spedisce invece gli avversari in Paradiso e lascia gli uomini di Giacomini in B.
Una delusione atroce per tutto l’ambiente friulano.
Per non vivere di rimpianti Giacomini convince il Campione del Mondo Causio a trasferirsi a Trieste.
Il Barone è un innesto di qualità assoluta, pur con i suoi trentasette anni sul groppone.
Totà De Falco si giova della sua presenza e migliora leggermente lo score della precedente annata, andando a segno in sette occasioni.
La Triestina (partita con 4 punti di penalità per i fatti di cui sopra) però non decolla e chiude a centro classifica.
Nel calciomercato estivo gli alabardati mettono le mani sul forte centravanti Bivi.
L’ennesima penalità in classifica (-5) ed una annata balorda condannano gli uomini di Ferrari alla retrocessione.
Totò De Falco non partecipa alla caduta negli inferi e, anzi, anticipa tutti scendendo in C1 già in autunno, accasandosi alla Salernitana.
Trattasi di una sorta di canto del cigno per la punta di Pomigliano.
Attaccante dal fisico non eccelso, eppure tosto nei contrasti e rapido nei movimenti.
Scaltro in area di rigore, ha dei guizzi felini ed un senso del gol che mettono in enorme difficoltà i suoi avversari diretti.
Dribbling secco e buon tiro sia di destro che di sinistro.
Si fa valere anche di testa, nonostante non sia propriamente un corazziere.
Non partecipa molto alla coralità del gioco e raramente cerca la prodezza balistica dalla distanza: è un uomo d’area a tutto tondo, capace di realizzazioni spettacolari e di infiammare la platea come pochi altri.
Tipica la sua posizione d’attesa: braccia distese sul corpo e mani appoggiate sui fianchi.
In apparenza un dopolavorista in attesa del caffè in pausa pranzo.
Nella realtà è il momento della ricarica psico-fisica, quella che precede l’assalto alla preda.
Centravanti ben poco classico, tocca ripetersi, eppure tremendamente efficace, se in forma, nel centro-area ed eventualmente anche se impiegato come ala destra e/o seconda punta di riferimento.
Ai tempi in cui si poteva seguire qualche spezzone di match in tv, unitamente alle mitiche Figurine Panini che raccontavano per immagini quello che era un calcio semplicemente meraviglioso, il campionato di B metteva in scena una infinita serie di spettacoli paralleli, oltre a quello meramente sportivo.
Una delle reti più belle De Falco la mise a segno contro la Lazio, nella mitica epopea biancoceleste del Meno 9 (1986-87).
Ottima azione di Cinello, che si libera elegantemente di Piscedda sul versante mancino d’attacco e serve in piena area di rigore il suo compare: Podavini -che De Falco ha sempre definito come l’avversario più tosto da affrontare in carriera- si smaterializza improvvisamente, tentando un anticipo a dir poco avventato, e Totò, libero dal peccato e sicuro da ogni turbamento, colpisce al volo di sinistro spedendo la sfera all’incrocio dei pali e battendo un incolpevole Terraneo, vanamente proteso in tuffo sulla propria destra.
Fiorini proverà a metterci una pezza nel finale di gara, senza esito.
La Triestina è salva, mentre alla Lazio di Fascetti e Calleri toccherà soffrire ancora, prima di raggiungere l’obiettivo ed entrare nel Mito.
Ricordo tutto come se fosse oggi: incredibile.
Piccola aggiunta: la maglia della Triestina anni 80 (la 7 di Totò De Falco, in special modo) era stupenda, oltre che iconica.
Quella sponsorizzata Sanson, per intenderci.
E poi Fissan e, più tardi, Modiano e Utat.
Clamorosa, pure in bianco e nella rara versione verde di cui avevo lontanissima memoria e che ho ritrovato sul web, dopo apposita ricerca.
Col 7 sulle spalle, come detto, rende ancor di più.
W il Calcio, W gli anni 80!
Tornando in tema: a Salerno Totò De Falco disputa una stagione alquanto mediocre, in relazione ai suoi mezzi e, soprattutto, alle aspettative.
La nuova proprietà dei campani investe parecchio e l’ex bomber della Triestina è la ciliegina sulla torta di una campagna acquisti faraonica, per la categoria.
Ma la squadra non ingrana e resta impantanata nelle zone mediane della graduatoria.
A fine anno De Falco torna a Trieste, per provare a riportare i suoi in B.
Ci riesce, pur con un bottino personale di sole 3 reti (come con la maglia della Salernitana).
L’acquisto estivo di Lerda, dal Taranto, convince Totò a rifare le valigie, stavolta definitivamente.
Sembra vicino al Padova, poi si accorda col Siena, in C2, dove torna a segnare con una certa frequenza e vince il campionato.
La salvezza della stagione successiva è il preludio al ritorno in B, alla Reggiana del suo mentore Marchioro, che gli affida il compito di fare da vice al promettente Ravanelli.
Al termine di una annata interlocutoria la società cede la sua punta di diamante alla Juventus e rimpolpa la rosa con parecchi elementi di categoria, andando sorprendentemente a vincere il torneo e sbarcando in serie A.
Franco de Falco offre il suo onesto contributo alla causa, prima di andare a chiudere la carriera nel bolognese firmando per il Castel San Pietro Terme, Campionato Nazionale Dilettanti.
Un calciatore che si identifica in una città.
Senza la bora che soffiava alle sue spalle, Totò De Falco non sarebbe mai stato lo stesso.
Un uomo del sud che nel pieno nord (est) ha trovato la propria dimensione sportiva ed esistenziale.
Tra i migliori bomber di una serie B pregna di società gloriose e di tifoserie passionali.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, Totò si dedica alla carriera dirigenziale.
Dove?
Alla Triestina, ovvio.
Per la sua amatissima De Falco svolge anche il ruolo di allenatore, per un breve intermezzo, salvo poi optare per la scrivania, pure da presidente.
Prima ancora lavora per Castel San Pietro, Cesena, Frosinone e Bellaria.
Più tardi è Direttore Sportivo al Piacenza ed alla Reggiana.
Infine ricopre il ruolo di Direttore Generale alla Savignanese, occupandosi in modo particolare dello scouting, e torna ad allenare i giovani, cercando di tramandare loro i valori con i quali è cresciuto e che nel calcio odierno, come nella società attuale, sono ormai merce pressoché introvabile.
Trascorre il tempo libero con la sua adorata famiglia ed ha scritto un libro, raccontando il suo legame con Trieste e con la con la Triestina.
“Io ho vinto anche da tante altre parti, ma per me Trieste è Trieste.
Ho fatto bene in altre squadre, ma il rapporto che mi lega a questa città va oltre, è qualcosa di inossidabile, perché io mi sento triestino in tutto e per tutto.
E per tutta Italia sono De Falco della Triestina.
Del resto a Trieste non ci ho passato solo gli anni da calciatore, i migliori della mia vita, ma per l’Unione ho fatto scelte da vera bandiera, che sono andate spesso contro la mia carriera“.
Il Comune di Trieste gli ha conferito, di recente, il sigillo trecentesco della città.
Una onorificenza che dice molto, se non tutto, sul rapporto tra Totò ed il mondo alabardato.
Perché in fondo parliamo di calcio, è vero.
Ma anche di tanto altro.
Eccome.
Franco de Falco: il Totò alabardato.
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