- 2000
LTJ Bukem – Journey Inwards
Il sound elettronico di fine novanta-inizio duemila è qualcosa di clamoroso, per quel che mi concerne.
Di Goldie, Tricky, Adam F, Roni Size, Grooverider, Portishead, Photek, GusGus, DJ Cam ed altri ancora si è detto anche su queste pagine.
La lista di roba buona sarebbe ancora bella lunga, però.
E manca ancora qualche nome di grido, alla carrellata di omaggi ad un periodo letteralmente d’oro, se discorriamo di una certa tipologia di musica.
Proviamo a metterci una piccola pezza, come si suol dire, magari partendo da un artista che merita di certo una citazione, allorquando si discorre di personaggi legati alla scena dell’elettronica: mister Daniel Andrew Williamson, universalmente noto come LTJ Bukem.
Produttore, DJ, musicista e quant’altro, LTJ Bukem è soprattutto un pioniere del pianeta rave dei primi anni novanta.
Geniale precursore di tutta quella meravigliosa attività sonora che si sviluppa di lì a poco, coinvolgendo molti colleghi e dando il via ad una serie di generi e sottogeneri che cambieranno, giocoforza e per sempre, la percezione della dance e le regole di tutto ciò che gira intorno alle piste da ballo (e da sballo, ecco).
La lista delle sue serate in giro per il mondo è pressoché infinita.
Come produzioni personali vi sono una marea di remix, alcuni di essi di notevole fama e pregio, la stupenda compilation intitolata Logical Pogression, un programma radiofonico cult della BBC condotto insieme a MC Conrad e dal quale sono state tratte parecchie raccolte di successo, una marea di serate a tema in quel di Londra dal quale sono state sviluppate tutta una serie di raccolte musicali, unitamente al collega Fabio.
Insomma, uno che non si perde d’animo se c’è da lavorare, creare, miscelare.
A tal proposito, LTJ vanta pure un album completo a suo nome.
Uno soltanto, per la cronaca.
Journey Inwards, pubblicato nella primavera del 2000.
Premessa: Daniel ha una storia particolare, alle spalle.
Nato nel 1967 ad una ventina di chilometri da Londra, è stato adottato da una famiglia inglese.
Solamente parecchi anni più tardi avrà modo di conoscere la madre biologica, ugandese, che gli rivelerà anche la nazionalità del padre, che è di origini egiziane.
Con un DNA di siffatta varietà, il giovane cresce appassionandosi sin da subito alla musica.
Dopo aver studiato pianoforte, nell’adolescenza si appassiona al jazz ed alla fusion, riuscendo ad organizzare anche una band che suona pezzi per l’appunto jazz e pure funk, provando a sperimentare di tutto e di più, dal punto di vista sonoro.
Il passo successivo, neanche a dirlo, è la scelta di diventare un DJ.
Il suo nome d’arte, che deriva dalla scena di un telefilm che lo divertiva alquanto, inizia a girare per locali e diventa, ogni giorno di più, apprezzato da coloro che hanno la fortuna di partecipare alle sue serate.
Le collaborazioni ed i lavori di cui sopra finiscono per ampliare il suo bagaglio artistico e confluiscono, per l’appunto, nel sopracitato Journey Inwards, dato alle stampe dall’etichetta Good Looking Records, fondata una decina di anni prima dallo stesso Bukem.
Quattordici tracce, per un doppio album scritto quasi in totale solitudine dal londinese (un paio di tracce sono in condivisione) e prodotto unitamente ad una lunga lista di collaboratori e turnisti di indubbia fama, ognuno di essi coinvolti, in qualche maniera, nell’ambito dei lavori precedenti e contemporanei dell’artista.
Il titolo (Viaggio verso l’Interno) tende già, a suo modo, ad illustrare quello che a tutti gli effetti è un percorso introspettivo all’interno del proprio mondo musicale, sviscerato con semplicità e, nel contempo, con curiosità e voglia di scandagliare, mettersi in gioco, approfondire, esplorare.
Per la tipologia di sound in oggetto, è un trip dannatamente intimo e notturno.
Drum and Drum and Bass e Jungle se la comandano, non si discute.
Ma ad avvolgere l’ascoltatore in una delicata coperta di Linus è soprattutto un irresistibile minimalismo che pare provenire da un universo distante e/o che forse genera a sua volta un ulteriore proprio microcosmo, fatto di suoni eterei e di una liquida e rarefatta atmosfera che è emotivamente stravolgente.
Molti, all’epoca, giudicarono questo disco come tecnicamente perfetto ma troppo elegante e ricercato, per non dire sofisticato.
Quindi, alla fine, quasi finto.
Plastico, per alcuni versi addirittura ipocrita.
In soldoni, si accusava l’artista di aver cavalcato una determinata onda modaiola per immettere sul mercato un prodotto che non era affatto dissimile dalle miriadi di produzioni del periodo e, in particolar modo, dai lavori precedentemente pubblicati dallo stesso LTJ.
Un’accusa abbastanza pesante, per di più rimarcata dall’aggravante che a firmare il lavoro è un pioniere del genere e non certo un aspirante DJ alle prime armi.
Personalmente, non concordo con le succitate critiche.
Non fosse altro perché sono convinto che uno come Bukem, al netto del proprio talento e dei suoi difetti/limiti, non possegga per indole l’attitudine ad uniformarsi alle richieste di marketing.
Trattasi di un innovatore: che magari cavalca furbescamente un’onda, dal punto di vista commerciale, questo sì.
Ma che già alla seconda o terza ondata si lancia in una nuova mareggiata, poiché abbisogna di nuova linfa per comporre, rigenerarsi e ripartire alla carica.
Journey Inwards possiede un’eleganza connaturata, oserei dire istintiva.
Nasce così, la senti scorrere sul piatto e non puoi fare a meno di notarla.
Osservi luce soffuse in lontananza e senti scivolarti il nevischio addosso, per quanto è lounge e per quanto è cool.
Potresti trovarti pure in un bidone della spazzatura, circondato da avanzi di cibo e ricoperto da melma e feci: quella sensazione di raffinato garbo e di elevata ricercatezza sarebbe sempre lì, ad accompagnarti durante l’ascolto.
E se questo è un limite, ben vengano quegli album in grado di ripercorrerne i medesimi sentieri d’imperfezione stilistica.
Gli inserti jazz, che si mescolano con la feroce elettronica di breakbeat, downtempo, trip hop, jungle e drum and bass, aggiungono vigore e gusto ad un menu estremamente variegato, dove trovano spazio anche funk e neo soul, inoltre.
Tracklist ⬇
Journey Inwards | 7:05 |
Watercolours | 7:38 |
Rhodes To Freedom | 9:09 |
Our World | 5:06 |
Undress Your Mind | 7:44 |
Point Of View | 3:09 |
View Point | 8:04 |
Sunrain | 7:27 |
Deserted Vaults (Instrumental) | 4:25 |
Inner Guidance | 5:16 |
Close To The Source | 7:45 |
Suspended Space | 8:24 |
Unconditional Love | 6:04 |
Feel What You Feel | 8:25 |
Oltre un’ora e mezza di trasvolata per orbite lontane, in un sottobosco di luci ed ombre, misteriose quanto enigmatiche.
Mi fa pensare ad all’aurora boreale in Islanda, alle notti gelate di Stoccolma, ad una certa Berlino impenetrabile ed indecifrabile.
Più freddo che caldo, quantomeno apparentemente.
Perché subito saltano alla mente le cuffie che me lo sparavano nelle orecchie davanti al tramonto foriano e che ridisegnano -in toto- qualsivoglia convinzione a riguardo.
Disco bellissimo, periodo bellissimo, musica bellissima.
Inutile analizzarlo pezzo per pezzo.
Si mette su, per intero.
Al massimo in modalità shuffle, volendo.
E si gode.
Brillante, per davvero.
Senza un seguito ufficiale, a distanza di oltre un ventennio.
Evidentemente era destinato a restare figlio unico, questo lavoro.
LTJ Bukem – Journey Inwards: 8
V74